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Rottura storica

By admin on 26/09/2013 in L'editoriale
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Siamo in presenza di una rottura storica, non stiamo confrontandoci con una semplice crisi. Non ci sono precedenti a memoria d’uomo di quanto è successo nel mondo dal 2007 e di quanto ancor peggio è successo nel nostro paese.

Siamo arretrati di vent’anni e non sappiamo quanti anni ci vorranno per riprenderci.

La mia opinione è che non torneremo più dove eravamo, non ci sono più le condizioni che negli anni ottanta ci hanno portato a vivere bene.

Erano anni di economia drogata da indebitamento e da una congiuntura europea sostanzialmente favorevole alla crescita. Oggi non ci sono le condizioni per tornare e ricreare quel livello di benessere.

In Italia muoiono circa 364.000 aziende all’anno, 1.000 al giorno e non se ne ricreano altrettante in quanto nella somma algebrica almeno il 10% di loro resta sul terreno senza germogliarne altre.

Se siamo quindi in presenza di una rottura storica con il passato e vogliamo prepararci ad un futuro diverso, le soluzioni devono essere a loro volta di rottura.

Non soluzioni o provvedimenti tampone , ma un’autentica rivoluzione dell’intero paese .

Serve un nuovo modo di pensare da parte delle istituzioni, delle imprese, dei sindacati.

Portiamoci dietro ciò che c’è di buono ma poi rifondiamoci con decisi interventi di chirurgia e di trapianto e non con il solito cachet per il mal di testa che la politica quotidiana ci propina.

Una politica forte che vuole rinnovare il paese non fa provvedimenti provvisori di dilazione dei problemi, vedi la proroga dell’aumento Iva o dell’esazione della rata dell’Imu, ma attua invece provvedimenti decisi e magari impopolari di sostanziale rottura con il passato.

La parola d’ordine è proprio questa. Rottura con il passato.

La politica deve spingere l’Italia verso una forte innovazione con investimenti per modernizzare le città di un paese vecchio che ha bisogno di interventi di efficientamento energetico, di recupero dei centri storici, di infrastrutture e trasporti, di adeguamento delle strutture scolastiche.

Su queste cose si possono fare i debiti: il paese e l’Europa a fronte di un progetto industriale nazionale non possono che essere d’accordo: e se non lo sono va bene lo stesso.

Se vogliamo avvicinarci al sistema europeo, lo dobbiamo fare invece avvicinandolo e adeguandolo, liberando risorse per imprese e lavoratori che oggi devono confrontarsi con un costo del lavoro tra i più alti e un impianto salariale tra i più bassi: cosi si fallisce.

Un governo forte deve senza indugio tutelare i settori strategici come fanno gli altri paesi ed investire perché l’Italia torni a mettere la manifattura al centro della sua economia: bene servizi e terziario, la produttività e occupazione passano però attraverso la manifattura.

Per ultimo ma non per ultimo, un governo coraggioso deve sopra ogni cosa liberare se stesso e il paese dal complesso sistema autoreferenziale proprio degli apparati di stato e del pubblico impiego.

Il sistema feudale impenetrabile che frena il paese e lo incatena con gli interessi particolari delle varie lobby è lì e va svecchiato, riformato e sburocratizzato .

In alternativa, la situazione non è più sostenibile a lungo.

La BCE ci ha finora aiutato ad evitare il peggio, anche grazie ai suoi Outright Monetary Transactions in predicato però alla Corte Costituzionale tedesca.

Ma adesso sta a noi risolvere il decadimento del paese, il credit crunch killer di imprese e famiglie, la miopia delle banche che non vogliono ufficializzare la precarietà dei loro bilanci appesantiti da Distressed Assets difficilmente negoziabili ai vecchi prezzi.

Manca a tutti gli effetti una visione di lungo termine, una politica formata da statisti (almeno uno!) che guardino alla prossima generazione e non alle prossime elezioni.

L’alternativa è una nave con pilota automatico programmato su una rotta che porta agli scogli: il comandante resterà questa volta a bordo?

Luglio 2013

Massimo Guerrini

Vice Presidente Vicario Api Torino e prov.

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