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Due Parole di Verità su occupazione, produttività e meritocrazia.

By admin on 08/07/2010 in L'editoriale
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Diciamolo, e diciamo pure che è cosa grave perché da sola mina ogni possibilità di crescita del
nostro Paese.
Sono i giovani la fascia in assoluto più colpita dalla crisi, e tra quelli che hanno perso il lavoro a
risentirne di più sono quelli che vivono ancora in famiglia e sono impegnati in lavori precari e con
bassi profili professionali. Il tasso di occupazione dei giovani sotto i 30 anni è sceso nel 2009 al 44
per cento.

Nessun titolo di studio sembra in grado di proteggere i giovani dall’impatto della crisi: licenza media
-11,4%, diploma -6,9%,laurea -5,2 %.
Per fortuna, siccome si parla di giovani che in buona parte vivono ancora in famiglia, la minore
entità dei guadagni dei figli rispetto a quelli dei genitori ha determinato una riduzione del reddito
familiare relativamente più contenuta. Ma non è necessariamente un buon segnale.
Che fare in un contesto in cui l’Europa unita non cresce e non crea lavoro, come dicevo già nel mio
precedente editoriale?

Si deve tutelare il più possibile il lavoro ma al tempo stesso spingere su produttività e sviluppo: solo
una delle due cose non sarebbe sufficiente.
Occupazione.
Esistono accademicamente due modi di assicurare i lavoratori contro il rischio di perdita di lavoro:
in un primo caso si rende il licenziamento molto costoso per l’azienza ed è il caso dell’Italia, basta
pensare solo ad esempio all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori;
in un secondo caso il governo non interferisce con le decisioni delle aziende ma garantisce al
lavoratore una indennità temporanea di disoccupazione ed è il modello preferito dai paesi
anglosassoni.

Questo nel privato: ma nel pubblico impiego?
Qui più che mai parliamo di:
Produttività.
La dieta dimagrante che il governo sta imponendo non affronta per nulla il tema della produttività
della pubblica amministrazione, né tantomeno la sua modernizzazione ed il suo ringiovanimento.
Si tagliano gli stipendi pubblici perché hanno recentemente avuto una crescita superiore a quella dei
privati ma non si tiene conto di indicatori di produttività e meritocrazia: i tagli seguono la stessa
logica degli aumenti, senza indicare come verrà perseguito il miglioramento dell’efficienza delle
amministrazioni, quali investimenti fare, come incentivare la produttività e riconoscer il merito alla
dirigenza e al personale.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per il blocco generalizzato delle assunzioni: non si ha
rinnovo né generazionale né delle competenze.
La domanda a questo punto però è: limitare la capacità delle aziende private e pubbliche di
riaggiustare i propri processi produttivi durante una crisi economica è un bene o un male?
Come sempre la medaglia ha due facce.
Quando un’azienda ed un lavoratore interrompono il rapporto vi sono dei costi immediati: una
perdita di capitale umano del lavoratore stesso e una perdita di produttività nell’economia data dalla
rottura di un rapporto di lavoro su cui sia l’impresa sia il lavoratore avevano investito.
In caso poi di licenziamenti di massa o un blocco di assunzioni soprattutto nel pubblico, vi è un calo
dei consumi che impatta negativamente sull’economia locale.
I benefici?
Il principale beneficio è dato dalla riorganizzazione della forza lavoro. Le crisi in genere mettono in
evidenza le debolezze di alcune imprese o di alcuni settori; l’effetto è così quello di far chiudere o
ridurre la dimensione delle imprese e dei settori meno efficienti dell’economia.
Affinchè l’economia ne riceva nel suo complesso un grande beneficio, la vera soluzione resta a mio
giudizio quella che, in tempi di crisi; il lavoro non debba essere mortificato e considerato un costo
ma debba piuttosto essere “accompagnato” verso settori o imprese più produttivi.
In un economia liberale, e non liberista(differenza enorme) è questo il ruolo che un governo deve
esercitare di concerto con le associazioni di categoria.

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